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Ken Greed: il rapper che ha attraversato il wormhole

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Ken Greed

Ken Greed non è solo un nome d’arte, è un’identità forgiata nell’oscurità, nella lentezza e nella fame. Un artista che rifiuta i confini della scena, i cliché del genere, le scorciatoie del consenso.

The Wormhole, il nuovo ep di Ken Greed, è un progetto concettuale e ambizioso, dove la distopia diventa uno specchio e lo spazio un luogo mentale. Un viaggio sonoro fatto di salti spazio-temporali, immagini forti, beats spiazzanti e parole da rileggere come versi criptici.

In questa intervista, Ken Greed ci porta dentro il suo universo: dalla fascinazione per l’ignoto alla scrittura come atto spirituale, dal peso della provincia al rapporto tra musica e immaginazione, fino al significato di essere un artista indipendente nel 2025.

Nessuna maschera, nessuna posa: solo barre, visione e coerenza. Ecco a voi Ken Greed per ClubHipHop.

“The Wormhole” è un titolo che evoca fisica teorica e metafisica. Da dove nasce questa fascinazione per lo spazio e l’ignoto Ken Greed?

Il fascino verso lo spazio e l’ignoto è qualcosa che è sempre stato presente in me. Come un credente vive la sua spiritualità rapportandosi ad un Dio, io vivo la mia esplorando quello che non conosco e non posso capire.

La curiosità è il perno in questo. Mi sono perso spesso nel “buco nero” della mia mente. Capita spesso di mettermi in dubbio, ma ogni volta che torno a far musica, vuol dire che ho aumentato me stesso. In un mondo pieno di ego, mi spoglio delle mie sicurezze e a contatto con le mie insicurezze, scrivo dall’ignoto per l’uomo.

Ogni traccia del tuo EP sembra avere un’identità distinta. Come hai costruito la narrativa tra i brani Ken Greed?

 La narrativa, tra le tracce del progetto, è stata costruita sulla base di salto spazio-temporale all’interno del wormhole. Ogni brano è un “salto” che mi permette di vedere punti distinti della realtà e di parlarne in rima.

Il gioco interessante è che questo mi ha permesso di non dover per forza creare una trama coerente tra le tracce ma, anzi, mi ha permesso di poter svariare da un argomento ad un altro, proprio perché è il ponte di eisten-rosen stesso a buttarti in luoghi sconosciuti e scollegati tra loro. Quello che collega questi luoghi in apparenza diversi tra loro è il trovarsi tutti nella mia testa.

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Qual è il tuo rapporto con la scrittura Ken Greed ? Parti dal beat o da un concetto?

Quando scrivo parto sempre da un concetto di base. Poi il beat mi conduce verso una direzione che lo evolve. A volte capita di scrivere anche senza beat intere quartine. Di solito mi ispira stare sul quaderno e scrivere barre a caso, altre volte è la lettura di un libro a stimolarmi. Una semplice idea ha più modi di svilupparsi in me e di venir proiettata sul foglio.

Ken Greed , tu hai usato immagini forti, simboliche. Quanto è importante per te creare un universo visivo attorno alla musica?

Creare universo visivo, vuol dire per me proiettare ombre mentali nell’ascoltatore. Cerco di spingerlo a ricreare una sua versione di quello che ho scritto nella propria testa, spingendolo a ragionare e a cercare la direzione giusta per lui.

Sono cresciuto ascoltando artisti, come Primo Brown e Kaos One, che erano evocativi nel loro modo di scrivere. Evocare immagini aiuta a veicolare il concetto che voglio esprimere nel pezzo, ma non ho mai rinunciato nemmeno in passato ad alcune barre più dirette e meno retoriche.

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Ken Greed, le tue rime sembrano spesso scritte per essere rilette più che solo ascoltate. Ti riconosci in questa definizione?

Sicuramente le mie quartine sono scritte per esser rilette. E’ altrettanto vero che sono scritte anche per essere riascoltate più e più volte guardandole da una diversa prospettiva.

Mi piace celare dietro una frase diversi significati, mi piace complicarle e renderle dei piccoli indovinelli. Mi piace spaccare le parole, le frasi, e ricomporle dandole una nuova luce.

E’ altrettanto vero, però, che la musica è fatta anche per sentirsi leggeri e liberi. Per certi versi io cerco di farlo con le strumentali, rendendole a tratti molto orecchiabili, mentre con le barre rimango molto crudo e preciso.

“La Cosa” sembra quasi un esperimento sonoro. Ken Greed , ti interessa sperimentare oltre i limiti della trap?

Nascendo come un artista underground e cercando sempre di evolvermi, cerco sempre di superare i limiti e i confini di genere. La musica è unica: si mischia, si sporca e si evolve. Non esistono generi, e “la cosa” ne è la prova. Proprio come la musica, io nel pezzo faccio notare come anche io nelle 6 tracce mi sia evoluto e come non ci siano limiti per un artista.

Il pezzo è nato dopo la visione del film “The thing”. La creatura mutaforma, antagonista del racconto, mi ha dato l’ispirazione per fare un pezzo diverso in cui esprimessi come anche io potessi cambiare, mutare, di pezzo in pezzo, potendo esser diverso dal mio passato e al tempo stesso anche dal pezzo precedente. Questa per me è stata la giusta chiusura dell’EP, se si pensa a tutta la dietrologia e le correlazioni che ci potrebbero essere tra il mutaforma e il wormhole.

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Ken Greed, in che modo la collaborazione con Alessandro Faraci ha spinto la tua scrittura in direzioni nuove?

Alessandro mi ha spinto fuori dalla mia zona di comfort dal primo momento. Lavorare con lui non è sempre facile. Lui è uno che ci tiene sempre a non fare qualcosa di convenzionale e spesso riesce a spiazzare anche me con i suoi beat. L’aiuto fortissimo che mi ha dato per ri-approcciarmi alle sessioni in studio è stato fondamentale.

Erano due anni che ormai non scrivevo più, quattro in totale se penso all’ultima volta che sono stato in uno studio prima di andare da lui. Mi ha aiutato anche a dare un sound più aperto al disco, senza chiudermi solo sul boom bap. Il suo background da dj alle serate techno sicuramente ha dato anche una svolta diversa a tal proposito.

Ken Greed , quanto conta per te la coerenza tematica in un progetto musicale oggi?

Più che la coerenza tematica, credo che sia importante esser coerenti con se stessi. Se inizi ad esser coerente su chi scegli di essere, ti verrà molto più facile esserlo anche con le storie che vuoi raccontare. La coerenza poi, purtroppo o per fortuna, nasce anche dall’unione di intenti con le persone che lavorano con te.

Per quanto tu possa essere fermamente convinto della direzione che stai prendendo, non puoi vincere le tue guerre da solo. Chiunque curi il tuo progetto, sotto ogni aspetto, deve aver la tua stessa visione e lo stesso obiettivo comune.

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Ken Greed , hai dei riferimenti internazionali o artisti che ti ispirano fuori dal rap?

Se non parliamo di musica, il mio riferimento artistico è sicuramente Christopher Nolan. Importanti sono stati anche artisti come Mishima e Asimov. Nonostante siano due scrittori completamente differenti, mi hanno tenuto e mi tengono tutt’ora incollato ai loro libri per ore. La fantascienza, ma anche libri pseudo-autobiografici, come quelli di Mishima e Asimov, mi sono sempre interessati.

Invece se parliamo di musica non posso non citare Ludovico Einaudi. Da piccolo suonavo il pianoforte e credo che il modo in cui il maestro lo suoni sia unico ed iconico. Sono un grande estimatore anche di altri artisti del panorama musicale mondiale, come Billie Eilish

Pensi che “The Wormhole” sia un disco da ascoltare tutto d’un fiato o da scomporre traccia per traccia, Ken Greed ?

Innanzitutto, per l’atmosfera che crea tutta la storia che racconto, e in secondo luogo per la potenza e profondità delle barre scritte. E’ un disco molto curato a livello metrico, la scrittura è stata sentita sul piano emotivo. Inoltre, l’ho rivista per mesi. Credo che il vocabolario usato, nonostante sia molto tematico e pertinente, riesca a variare nel suo contenuto e a non risultare ripetitivo. 

Non posso poi non parlare di alcuni beat, come quello di “Jupiter”, che riescono a portarti ad un’introspezione unica. Tutto questo lo rende secondo me un disco che puoi facilmente ascoltare tutto d’un fiato, ma che una volta conosciuto a fondo può anche esser scomposto ed ascoltato a pezzi.

Come per ogni disco, ogni singola persona preferirà una traccia rispetto ad un’altra, è una cosa normalissima avere dei pezzi che vengono ascoltati una volta e basta. L’importante è sforzarsi di ascoltare un disco rap che non parla di rap.