L’intervista a PABLONOREX | Dopo l’uscita di “L’insostenibile leggerezza del rapper”

Pablo Sebastian Chavez Mandressi, meglio conosciuto come PABLONOREX, è un rapper italo-uruguayo nato nel 1979 e cresciuto a Rovereto, in Trentino. Dopo decenni di attività nella scena rap, principalmente in gruppi, PABLONOREX ha finalmente lanciato il suo primo album solista, “L’insostenibile leggerezza del rapper”, sotto l’etichetta La CROCE, fondata da OTHELLOMAN.

L’album si distingue nel panorama rap per la sua maturità tematica. Invece di concentrarsi sugli aspetti più effimeri della vita quotidiana, come è comune nel rap contemporaneo, PABLONOREX sceglie di esplorare la dualità e la profondità dell’esperienza umana. “Questo disco nasce dalla volontà di raccontare l’uomo che sta dietro al rapper, l’essere umano che convive con l’artista”, afferma PABLONOREX.

Durante un’intervista, abbiamo approfittato per chiedere a Pablo della sua lunga carriera e delle motivazioni che lo hanno spinto a rimanere attivo nel mondo del rap. La sua risposta mette in luce la passione inestinguibile che ha alimentato la sua arte per decenni, una passione che non solo lo ha tenuto legato al genere, ma che ora trova nuova vita nel suo recente progetto solista.

Con questo album, PABLONOREX non solo si afferma come voce distinta e matura nella scena rap, ma offre anche uno sguardo intimo sull’arte di raccontare storie personali e universali attraverso la musica.

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Intervista a PABLONOREX

Come definiresti lo stile del tuo rap: classico, old school o cos’altro? Aiutaci a inquadrarlo meglio…

Non sono mai stato troppo a favore delle definizioni perché, soprattutto in ambito artistico, tendono a mettere dei paletti alla creatività. Posso però dirti che le radici e l’ispirazione per questo disco partono sicuramente da un gusto classic. L’idea è anche quella di renderlo più attuale e fruibile a un pubblico più ampio mantenendone intatta l’attitudine prettamente hip hop del rap classic. Menevolt per i beat è partito dal campionamento, alla ricerca delle influenze soul, jazz e funk che hanno contraddistinto tutto il progetto. Gli abbiamo poi appoggiato qualche arrangiamento programmato da noi (per esempio il giro di piano ne “La Resistenza”, e qualcos’altro qua e là… lascio a voi la ricerca), ma abbiamo anche fatto suonare delle parti composte ad hoc da dei musicisti che potessero impreziosire i beat senza stravolgerne il mood (come ad esempio per “l’Oblio” e “Il Retaggio”). Essendo cresciuto (sia musicalmente, che anagraficamente) durante il periodo della “golden age”, nel rap classico mi sento a casa. C’è però da dire anche che di quel periodo mi è rimasta ancora l’attitudine di evolvermi e migliorare quello che faccio (cosa appresa inizialmente col writing) e questo vale nella vita come nel modo di affrontare la scrittura. Non voglio allontanarmi dalle mie radici, ma nemmeno restarci fossilizzato, l’unico modo per farlo è continuare a crescere e migliorarmi.

Cosa significa fare rap in Trentino, una zona abbastanza fuori dai radar dei grandi eventi musicali e lontano dai centri nevralgici italiani dell’arte?

Significa farsi i chilometri per trovare quello che cerchi, ma anche sviluppare la capacità di ricerca e di ricrearti in casa quello che ti serve. Significa per forza di cose uscire dalla regione: per noi da ragazzini significava andare alle jam in treno dormendo poi nelle stazioni ferroviarie di ogni città che le ospitava. Andare fino a Verona al Vibra ogni volta alla ricerca dei dischi, delle Montana per dipingere, di vestiario, ma soprattutto di informazioni sulla scena. È significato per noi sfruttare il primo Internet per conoscere altri b-boy in giro per l’Italia e poi conoscerli di persona alle jam (così è nata Netcrew e con OTHELLOMAN ci conosciamo da allora, non per nulla ancora oggi ci lavoro in sintonia). È significato soprattutto tanto sbattimento, tanta gavetta e tanta voglia di far uscire dalla regione la nostra musica per trovare chi l’apprezzasse o quanto meno la prendesse sul serio. Tutto questo alla lunga credo sia stato un punto di forza, obbligati fin da subito a uscire dalla nostra zona di confort abbiamo girato tanto facendoci parecchi amici fuori regione. Ci ha permesso anche di non farci influenzare troppo da uno stile solo, ma bensì di entrare in contatto con diversi modi, gusti e punti di vista sull’hip-hop e sulla musica rap. Rientrando sul nostro “Altropianeta” rielaboravamo le esperienze e le mettevamo a frutto, questo ha contribuito molto a formarci come artisti.

E cosa pensi del fatto che oggi molti musicisti, in primis i rapper, si trasferiscano stabilmente a Milano con la speranza di fare carriera? Ad avere meno di 30 anni oggi, lo faresti?

Difficile rispondere. Penso che sicuramente Milano è un centro nevralgico per il business musicale in Italia, tanto più per il rap. Penso anche che non so se mi ci trasferirei stabilmente se avessi meno di trent’anni ora, anche se capisco le motivazioni di chi lo fa. Se vivessi i miei 20/30 adesso forse lo farei perché avrei un altro vissuto, chi può dirlo. Non mi sento di giudicare la questione né in positivo, né in negativo. Dipende dagli obiettivi, dalle motivazioni e dalle possibilità. È una questione di percorso e ognuno deve scegliere il suo. Se mi chiedessi oggi, col mio di percorso di vita, di dare un consiglio al me giovane che vuole trasferirsi gli direi di fare quello che sente, ma di fare anche attenzione a non rischiare di finire in un calderone per poi cercare di standardizzarsi per emergere. Emergere a ogni costo non è mai stato il mio interesse principale, ma è solo una questione di priorità personali, ognuno ha le sue. Io in provincia, e soprattutto a Rovereto, sto bene, è una buona casa base per muoversi. Se proprio dovessi preferirei fare il pendolare, andarci quando strettamente necessario, ma vivere, scrivere e creare a casa mia. Poi nella vita non si sa mai, ma per ora la vedo così.

Andando al tuo album, quanto ci hai lavorato, quanto tempo hai potuto dedicargli? E chi ti ha supportato maggiormente?

Il lavoro è stato tanto e il tempo anche, soprattutto perché ho subito alcuni rallentamenti e ogni volta dovevo trovare il modo di superare la difficoltà che mi si presentava davanti. Contando che il tempo che potevo dedicargli era ricavato extra lavoro e dovendomi anche confrontare con gli impegni delle persone coinvolte, non è stato facile. È anche per questo che mi sto organizzando per essere sempre più indipendente e dedicarmici ogni qualvolta possa e voglia. Le persone che più mi hanno supportato (ma anche sopportato) sono in primis ETA FREEGHY e Menevolt, soprattutto nella fase di produzione, scrittura, registrazione e nel curare il primo master, quello che ho poi fatto sentire a OTHELLOMAN e che ha avviato la nostra collaborazione. Quello di Right Combo Mastas e Fight Entertainment è stato un altro supporto molto importante, sia per il master finale che per tutta la programmazione e le uscite, prima dei singoli e poi dell’album. Non posso assolutamente dimenticarmi della mia compagna Valentina, la quale ha dato sicuramente un contribuito fondamentale nella mia gestione psico-fisica, tranquillizzandomi ogni volta che c’era un intoppo e dandomi tutto il supporto possibile. Ha avuto molta pazienza, ve l’assicuro! Ovviamente poi, tutte le persone che hanno collaborato artisticamente al progetto e hanno contribuito dedicandomi il loro tempo e la loro arte, infondendomi ogni volta nuova linfa per andare avanti. Partendo dai featuring di: ETA FREEGHY, Lord Hazy, Ciopi, Drimer, Scream, Lukas Fronza (a.k.a. dj Lucas), dj Slego e Corvo Rupert; passando per i beat di Menevolt (e il primo mix e master con cui l’ho portato in etichetta); fino al mix e master finali di Bassi Maestro che hanno rifinito il tutto. In ultimo, ma non per importanza, chi mi ha affiancato, supportato e sopportato per mesi e continua a farlo: il mio grafico/fotografo/supporto emotivo/amico fraterno Orzobimbo a.k.a. 8im80.

Sei soddisfatto del risultato finale e dei primi riscontri che sta ottenendo il disco? C’è qualche reazione che ti ha sorpreso (in positivo o in negativo che sia)?

Devo dire di essere sinceramente soddisfatto. Non avevamo grandi aspettative o pressioni rispetto ai numeri (anche se hanno di gran lunga superato le nostre previsioni e continuano a salire). Fin dall’inizio abbiamo deciso di giocare il nostro campionato, senza preoccuparci di cosa andava per la maggiore, né a livello di argomenti, né di sonorità o altro. Volevamo fare il nostro ma evolvendolo. Quando ho iniziato il disco non c’era ancora un ritorno al classic eppure era quello di cui sentivo l’esigenza. Tutto è perfettibile, ma è esattamente il disco che volevo fare. Quello che mi ha più sorpreso è stata la risposta ampia, come età e città di ascolto. Soprattutto all’estero, sta girando in paesi in cui mai avrei pensato: non sono ascolti sporadici, ci sono ascoltatori stranieri che seguono le uscite (prima i singoli e poi l’album) e stanno continuando a sentirsi le canzoni dell’album regolarmente. Lo vedo dalle statistiche, pur non essendo un prodotto pensato per i mercati, l’album ha già girato nel mondo molto più di quanto (credo) riuscirò mai a fare io fisicamente nella vita e la cosa mi dà una gran carica. Tanto che da un po’ ho iniziato a raccogliere materiale e idee per nuovi progetti. Di negativo al momento non ho ancora trovato nulla. Non avendo pressioni o aspettative, tutto quello che arriva è oro colato. È esattamente il modo in cui volevo e vorrei continuare a vivermi la musica.

Hai già suonato i pezzi nuovi dal vivo o hai in programma qualche live? Se sì, ti presenti dal vivo con la formula classica, accompagnato da un dj?

Un paio di live li abbiamo già fatti. Prima una piccola partecipazione alla serata di presentazione del disco di un rapper e produttore Trentino, Big House (Birrette family / Trento massive). Lì, oltre che avere il piacere di festeggiare un amico, ho potuto rompere il ghiaccio con i live. Quindi un secondo, più strutturato e completo, al Vallagarina Experience Festival a fine maggio. Il primo vero live di questo disco. Ora che ho il live base pronto e testato, in programma ci sono un po’ di altre cose, che però pubblicizzeremo a tempo debito… L’intenzione è di avere la libertà di suonare in ogni tipo di contesto proponendo un live mirato per la situazione. Quello che abbiamo portato per il festival di fine maggio l’ho preparato col mio dj di fiducia dj Lucas (Zonablu / 5th suite / Maggico / Daugther and son) e Ciopi al mio fianco al mic, quindi una formula classica da poter proporre ovunque; anche se con questa formazione abbiamo più soluzioni da poter adottare. Mi sono preparato anche per potermi arrangiare da solo se dovesse servire in qualche occasione. Ci sarebbe anche l’idea di preparare qualcosa con dei musicisti e col dj, come qualcos’altro di prettamente acustico. Ora vedremo bene la fattibilità e il tempo che ci vuole per queste ultime due soluzioni, sono in sala prove tutte le settimane e sono ottimista.