Danomay dopo il disco “Solo L’anima” | L’intervista a ClubHipHop

Danomay è prima di tutto un rapper ma ascoltando i suoi pezzi si capisce come abbia anche un’attitudine da cantautore. Classe 1992, è nato e cresciuto a Grosseto, ha vissuto per cinque anni a Roma ma, dal 2020, vive stabilmente a Milano. Nel 2012 con il suo primo EP, “Radioshine”, ha ricevuto l’approvazione pubblica da parte di Ghemon sul blog del collettivo Blue Nox.

Da qui in avanti ha pubblicato tanti singoli, tra cui uno entrato a far parte della colonna sonora del film di Niccolò Falsetti “Margini” (vincitore del premio del pubblico al Festival di Venezia del 2022) e due per la colonna sonora del docufilm su Kobe Bryant “Kobe – Una storia italiana” uscito su Amazon Prime Video. Dal 2020 collabora con il suo concittadino Filippo Scandroglio, già chitarrista della band del cantautore Lucio Corsi, e ora produttore musicale di questo primo album di Danomay, “Solo l’anima”, composto da 10 brani che provano a raccontare l’attraversamento dei 20 anni da un punto di vista introspettivo.

Prodotto da Filippo Scandroglio, ex chitarrista della band del cantautore Lucio Corsi, il disco è composto da 10 brani e vede la partecipazione di un unico ospite, Mark de’ Medici. Concepito a Grosseto, città natale dell’artista, abbozzato a Roma e perfezionato a Milano, “Solo l’anima” è un album che ambisce a raccontare l’attraversamento dei vent’anni da un punto di vista introspettivo.

Danomay ha iniziato con l’hip hop ma, come racconta lui stesso, ha sempre “sofferto la situazione del genere in Italia che fatica a uscire dalla fase adolescenziale”. Per questo ha cercato di creare uno spazio più intimo e profondo nell’hip hop, fondendolo con una vena cantautorale: “Credo ci sia bisogno – continua – di dare una dignità al rapper in quanto scrittore e musicista, e non solo come personaggio carismatico. Se poi ci sono tutte queste qualità insieme, allora si è di fronte a un grande artista. Esistono rapper che cercano di portare il genere in Italia a un livello di maggiore maturità e profondità, e credo che questo sia il vero passo avanti da fare ora che il rap ha raggiunto la vetta delle classifiche”.

Intervista a Danomay

Hai passato da poco i 30 anni e il tuo album vuole raccontare l’attraversamento dei 20 anni. Il rap nello stesso periodo, soprattutto in Italia, ha subito grandi cambiamenti: a livello sia di tuoi gusti personali sia artistico, come hai vissuto questa fase del rap?

Negli ultimi 10 anni abbiamo vissuto il vero salto nel mainstream del rap. Quando ho iniziato a scrivere era una cultura alternativa, ci finivano dentro molti ragazzi emarginati sia socialmente che economicamente. Quindi attraverso il rap cercavi di far risplendere quelle ammaccature, il fatto di sentirti differente. Ritrovo questo nei ragazzi di seconda generazione per esempio. Quella spinta a emergere è connaturata nella cultura hip hop. Tolto questo, c’è un sacco di musica brutta ma quello lo sappiamo tutti e andrebbe evitata sempre in qualsiasi genere. Essendo il rapper diventato uno status come il calciatore probabilmente se avessi iniziato oggi avrei fatto altro.

Sei originario di Grosseto, hai vissuto a Roma e dal 2020 vivi a Milano: la provincia e la metropoli ti hanno ispirato allo stesso modo nella scrittura dei testi di questo disco?

Spesso si tendono a mettere sulla carta i propri conflitti e sia la provincia che la metropoli te ne danno in abbondanza. Vivere a cavallo tra queste due realtà mi ha aiutato a vedere le stesse cose da punti di vista diametralmente opposti. Per quanto riguarda la musica, per esempio, mettono alla prova la tua passione in due maniere diverse che reputo complementari.

Il tuo album ha varie influenze musicali, non solo hip hop. Come le descriveresti? E sono dovute alla direzione che ti ha dato il produttore musicale Filippo Scandroglio o anche a una tua precisa volontà?

Volevo esplorare. Negli anni in cui ho scritto il disco ho aperto completamente la testa verso molte influenze musicali. Anche il fatto di aver iniziato a fare l’autore per altri mi ha portato a vedere la costruzione delle canzoni in un’ottica diversa. Filippo ha un retaggio diverso dal mio quindi era perfetto per portarmi fuori dalla zona di comfort. Spero che il sound di questo disco, unito ai testi, ci differenzi in qualche modo.

Tra le cose che hai fatto prima di incidere questo disco ci sono i due brani che hai scritto e interpretato per la colonna sonora del docufilm su Kobe Bryant “Kobe – Una storia italiana”. Come è nata questa collaborazione?

È stato bello perché ho imparato a giocare di squadra con una squadra che non è soltanto quella dei musicisti ma è allargata anche al regista e alla sceneggiatura. Matteo Curallo mi ha proposto la sua musica e da lì ho iniziato il mio lavoro che doveva riuscire a raccontare la storia di Kobe con il taglio voluto dal regista e dalla storia, oltre che dalla musica in sé. È un’esperienza che vorrei ripetere.

Hai dichiarato che “esistono dei rapper che provano a portare il genere in Italia a un altro livello di maturità e profondità”: hai voglia di fare qualche nome di questi e magari citare un loro album o brano significativo in questo senso?  Ci sono moltissimi rapper più grandi di me che lo fanno da tanti anni. Tra le nuove uscite più significative e conosciute in questo senso direi

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