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Sick Budd, l’hip hop condensato in un BISTRO! L’intervista

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Sick Budd è fuori con BISTRO! primo progetto discografico di un producer versatile, capacissimo di muoversi dall’underground al mainstream, senza snaturare la sua essenza. La flessibilità con la quale Sick Budd riesce a confrontarsi con contesti così diversificati nelle intenzioni, lo identifica come un performer in grado di gestire la pressione.

Le straordinarie competenze di Sick Budd fanno sì che le esigenze spesso contrastanti del mainstream e l’underground, trovino un equilibrio perfetto in BISTRO! Lo studio, la conoscenza e la dedizione del produttore sono un must che può essere appreso ascoltando non solo questo progetto, ma anche tutti i lavori già editi.

Gli ospiti coinvolti nel progetto sono: 22Simba, IL GHOST, Jake La Furia, Joshua, Kuremino Massimo Pericolo, Mezzosangue, Mondo Marcio, Nitro, Pessimo 17, Praci, Silent Bob, Speranza, Vegas Jones.

Alla tracklist in digitale, si aggiungeranno i brani col feat. di Marte e Ensi e quello con Dani FaivErnia e Renè. Ho avuto la bellissima opportunità di intervistare Sick Budd ed approfondire BISTRO!. Prima di passare alla lettura dell’intervista, schiaccia play e goditi il viaggio!

Ciao Sick Budd e benvenuto! BISTRO! è il tuo nuovo album. In che momento arriva nella tua evoluzione artistico-creativa?

Arriva in un momento di grossa consapevolezza e di necessità di mettere dei punti fermi nella mia discografia. Mi sono reso conto, ad un certo punto, che serviva un passaggio come questo nella mia carriera e soprattutto mi sembrava mancasse un progetto del genere all’interno della discografia rap italiana. Ci sono tanti dischi rap e tanti dischi rap di produttori, ma penso mancasse proprio il tassello di questo suono.

Solitamente i producer album italiani tendono ad assomigliare a dei mixtape randomici. Nel tuo progetto, si nota un fil rouge che unisce i vari brani. Questa forte identità da cosa deriva?

Ho sempre ascoltato e amato solo album che avevano una forte identità e ho sempre odiato dischi che non ce l’avevano. È un fatto personale e per me è l’unico modo di realizzare un progetto fatto come si deve, che possa rimanere nella storia, perché l’obiettivo è questo. Vorrei che il suono fosse l’aspetto che si ricorda maggiormente, proprio per far capire quale è l’identità del prodotto.

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In Italia il ruolo del produttore è troppo sottovalutato o credi che negli anni si sia conferito il giusto merito a chi è dietro le macchine?

Probabilmente non è mai stata raccontata così bene la figura del produttore, persona che forse in Italia non riesce ad avere lo stesso impatto di fama rispetto ad un  rapper.

 Non  è  una  cosa  che  soffro particolarmente, ma siamo noi a doverci prendere il nostro spazio. Non dobbiamo essere solo dei dipendenti degli artisti, ma diventare artisti noi stessi, e questo dipende solo da noi e da come impostiamo il nostro percorso.

Sicuramente non riusciremo magari mai a fare quello che fanno i rapper a livello di notorietà, ma possiamo creare il nostro brand e renderlo vendibile attraverso una forte identità e presenza.

BISTRO! mi riporta a quel mood un po’ western, inteso come attitudine, oltre che di sound. Nell’hip hop, può esistere un’evoluzione coerente che si distacca totalmente dal suo background?

Se con evoluzione coerente intendiamo tutto quello che riguarda la scena rap attuale no, sicuramente non tutto. C’è chi ha preso in prestito qualcosa dalla cultura hip hop per monetizzare, appropriandosi del linguaggio e delle “modalità” che più conveniva estrapolare. Per me il background è fondamentale e voglio sempre ritrovarlo nei dischi che ascolto, ma si tratta di un approccio totalmente personale.

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Nella cover del disco mangi un burger. Può essere una metafora che sta ad indicare il tuo assimilare questa musica fast food e poi riproporla secondo i tuoi precisi canoni?

In realtà per la cover avevo già in testa il titolo e volevo mettere un’immagine “campionata” da un film; così ho fatto, per me era solo una questione estetica e di coerenza.

Non ho sentito la necessità di dare anche una spiegazione iconografica alla copertina del disco. Nella cover vengono citati uno dei miei dischi preferiti e uno dei miei film preferiti, che messi insieme riescono a creare la formula giusta per spiegare la mia arte (soprattutto il mio approccio ad essa).

Nel game dei producer italiani esiste un’ossessione per i numeri e per le classifiche? Il suono viene direzionato anche in base a dei calcoli discografici o questo modus operandi è un’esclusiva dei rapper?

Probabilmente sì, esiste questa ossessione, ma non è il mio modo di vedere la musica. Non ho mai ricevuto direttive per questo progetto e non ne ho mai volute, perché avevo ben chiaro in testa cosa dovevo fare.

Non ho nemmeno sott’occhio i numeri perché ho disinstallato Spotify For artist. Usando Apple Music non vedo proprio i numeri degli ascolti. Mi sembra un modo molto più sano di approcciarsi alla musica.

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Gli ospiti coinvolti sono variegati. Li hai selezionati dopo aver creato i beat o avevi già in mente chi chiamare? Come hai scelto le varie combo?

Il primo passaggio è stato proprio creare beat per un paio di mesi accumulandone abbastanza da avere una grossa proposta per gli artisti che sarebbero passati in studio.

Avendo una base strumentale coerente sarebbe solo potuto uscire un disco altrettanto solido. Successivamente, ho pensato a chi chiamare e con chi accoppiarlo, cercando di darmi sempre una motivazione valida nella scelta e nella proposta.

BISTRO! è un intento creativo teso a dimostrare che anche nel mainstream, il metodo di un produttore può rapportarsi a delle skill e delle vibe hip hop?

Esattamente, soprattutto bisogna pensare che ci sono altri modi di fare musica che possono comunque funzionare. Si possono far lavorare artisti di mondi discografici diversi e distanti, bisogna solamente fare delle scelte un po’ più azzardate e non stare sempre nella comfort zone.