Neffa pubblica Canerandagio parte due e riunisce i due capitoli in un unico progetto, edito interamente su Spotify. L’artista, sceglie di portare a compimento il disco presentato il 18 aprile.
La seconda parte, ha visto la luce il 29 agosto. Neffa, in questo nuovo viaggio discografico, si fa accompagnare da Jake La Furia, nayt, Coez, Kaos, J-Ax, Mahmood e Salmo.
Il primo progetto, per tutta una serie di motivi, non aveva esaltato in toto. Il sequel sarà riuscito ad elevare lo status complessivo di Canerandagio? Scopriamolo insieme.
Al pari del primo capitolo, Canerandagio parte due, non convince dal punto di vista tecnico – testuale. Neffa, opta per un modus operandi vintage, basato sul flow cadenzato, tratto distintivo dell’artista originario di Scafati.
Il flusso lento e sincopato, ha sempre contraddistinto lo stile del guaglione. I testi si fondano su alcuni giochi di parole interessanti. Neffa chiude le rime attraverso metriche old school.
La poetica, non stravolge il game e risulta un po’ stantia. Il problema più evidente di Canerandagio pt. 2 , è lo stesso del predecessore; all’interno del progetto, manca un’evoluzione credibile.
Neffa rimembra il passato, ma ci si ancora in maniera irreversibile.
L’artista – utilizzando l’espediente dei featuring – contestualizza il suo ritorno alle origini, ma un album rap di Neffa nel 2025, non può scadere nella monotonia. Il fil rouge con gli anni ’90, più che arricchire, appiattisce.
La struttura dell’album segue un loop ripetitivo e il risultato finale è un mix di già sentito. La scrittura non è cesellata, i contenuti non scavano in profondità.
Neffa è tornato per fermare le lancette a circa 25 anni fa, ma il vecchio pistolero, non è riuscito a rinnovare le sue skill.
Eccetto nayt (il rapper conferma il suo stato di grazia a livello concettuale/contenutistico) che chiude una strofa profonda e stimolante, tutti i featuring deludono.
Jake La Furia, continua a riciclare rime e chiusure. Kaos è un’essenza d’ antiquariato che attrae una nicchia prestabilita, ma non notiamo alcuno sviluppo nel suo modo di proporre arte.
Mahmood e Coez, si limitano al compitino. J-Ax, sembra aver perso la credibilità per approcciare al rap.
Salmo, perpetra la sua decadenza creativa, offrendo delle barre stanche e spente. I ritornelli di Neffa, funzionano e creano la giusta ambientazione.

Il comparto strumentale, funziona. I tappeti musicali soul, lo-fi, retrò, soffusi e sfumati, rendono l’atmosfera accattivante. Le vibe, condensano il sound in un compendio di vibrazioni rilassanti e poco intrusive.
La volontà è quella di esaltare lo stile demodé, senza accodarsi alle mode odierne.
In questo senso, il background di Neffa, fa la differenza. In Canerandagio parte due, non esistono suoni o melodie pensati/e per la classifica mainstream.
Neffa è un producer con un’esperienza notevole e questo progetto, conferma una prerogativa insita nei suoi beat: la qualità.
Scratch, sporche improntate su un ghost style più unico che raro, outro stravaganti ed estrosi: musicalmente parlando, Neffa imprime la sua imparagonabile impronta.
Il marchio è riconoscibile. Le strumentali di Neffa, sono un must non replicabile. Tutto funziona a meraviglia. Ogni componente è al posto giusto. Neffa non ha minimamente perso lo smalto e dimostra a tutti che dietro le macchine, è un maestro sensazionale. Chapeau.

A livello musicale, Canerandagio parte due, completa il precedente capitolo in modo solido, denso ed estremamente intrigante. Purtroppo, i difetti complessivi dell’album, non possono passare inosservati.
Il comparto testuale e contenutistico, delude. Le collaborazioni, non incidono.
Lo stile di Neffa, non convince. 25 anni dopo, l’ex membro dei Sangue Misto, ripropone una forma poetica e un linguaggio che stentano a decollare, poiché eccessivamente dediti ad un retaggio culturale non più esistente.
Il tentativo di Neffa, appare una forzatura. Affermiamo ciò alla luce del fatto che il prodotto, viene infarcito di collaborazioni con artisti in tendenza. L’intento del randagismo, non viene coltivato fino in fondo e l’essenza del sentirsi un outsider, si smarrisce.








