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FANETO, LA VIGLIACCHERIA DELLA SCENA E TUTTI GLI STRONZI CHE HANNO TACIUTO

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Il rap italiano ha un problema serio: troppi che sapevano, nessuno che ha fatto un cazzo

Basta con le mezze misure. Basta con i comunicati asettici e le “dissociazioni” da quattro soldi. È ora di chiamare le cose col loro nome: Valentin Antonio Segura, in arte Faneto, è un violento denunciato per maltrattamenti, minacce e stalking. E intorno a lui c’era un intero ecosistema di gente che sapeva, vedeva, incassava e faceva finta di niente.

Questa non è una storia di musica. Questa è una storia di complicità, omertà e vigliaccheria collettiva. E va raccontata senza sconti.

MENTRE LEI PRENDEVA BOTTE, VOI CONTAVATE GLI STREAM

Facciamo due conti, visto che nel rap italiano ormai si ragiona solo così. 36 milioni di stream totali. 600mila ascoltatori mensili su Spotify. Un album pubblicato, “No pressure, no diamonds”. Il singolo “Lamelo” che spaccava. I soldi che entravano.

E mentre i numeri crescevano, Alessandra – vent’anni, province di Milano – prendeva pugni in faccia. Aveva lividi sotto gli occhi. Veniva chiusa in bagno mentre lui sbatteva calci e pugni contro la porta urlando “sei una merda umana”. Riceveva messaggi come “ricordati che morirai”, “sarai scopata da tutti i miei amici”, “ti sgozzerò di persona”.

Ma tranquilli, l’importante è che gli stream crescessero, no? L’importante è che il ragazzo “funzionasse” sul mercato.

LA MADRE E I MANAGER: QUANDO SAPERE SIGNIFICA ESSERE COMPLICI

Qui arriva la parte che dovrebbe far vergognare chiunque abbia una coscienza. La madre di Faneto sapeva. I manager sapevano. Lo ha detto lei, Alessandra, quella che per mesi ha coperto il suo aguzzino sperando che qualcuno, QUALCUNO, le tendesse una mano.

E sapete cosa hanno fatto la madre e i manager? UN CAZZO DI NIENTE.

Non l’hanno aiutata. Non hanno fermato quel delinquente. Non hanno chiamato nessuno. L’hanno lasciata sola, in balia di un violento, mentre probabilmente si preoccupavano di booking, date, contratti e percentuali.

Vogliamo chiamarla con il suo nome? Questa si chiama complicità. E moralmente – moralmente, non legalmente, che poi decideranno i tribunali – questi sono complici tanto quanto lui.

DJ SET A VICENZA MENTRE IL CODICE ROSSO ERA ATTIVO

Già, perché nel frattempo la vita del nostro “artista” continuava tranquilla. 15 maggio: denuncia alla Polizia Locale di Cremona. Scatta il codice rosso. Luglio: intervento delle Volanti a Milano per un’altra lite. Agosto, settembre… la carriera va avanti. E il 10 ottobre, mentre le foto dei lividi sono già su Instagram, mentre 1,4 milioni di persone le hanno già viste, Faneto se ne sta beatamente allo You Club di Vicenza a fare il suo DJ set.

Rappa pure: “guido sta troia come se dovessi morire adesso”.

Zero vergogna. Zero dignità. Zero umanità.

E chi l’ha messo lì sul palco? Chi ha organizzato quella serata? Chi ha incassato i soldi di quel booking? Anche loro hanno le mani pulite?

TRENCHES RECORDS E LA DISSOCIAZIONE PIÙ IPOCRITA DELL’ANNO

E ora arriviamo alla ciliegina sulla torta dell’ipocrisia: il comunicato della Trenches Records. “Ci dissociamo da ogni tipo di violenza sulle donne. Il ricavo delle edizioni di Faneto sarà donato ad associazioni contro la violenza sulle donne.”

Bellissimo. Commovente. C’è solo un problema: DOVE CAZZO ERAVATE PRIMA?

Dov’era tutta questa sensibilità quando firmavate il contratto? Quando promuovevate “Lamelo” con quel ritornello illuminante: “Lei è una troia, ma verrà trattata peggio (molto peggio)”? Quando i numeri crescevano e nessuno si poneva domande?

Ah già, è arrivata solo DOPO lo scandalo. Dopo che la ragazza ha dovuto esporsi pubblicamente, dopo che un milione e mezzo di persone hanno visto quelle foto. Solo quando tenere Faneto sarebbe stato troppo imbarazzante anche per voi.

Non è responsabilità sociale. È damage control. È salvarsi il culo. È l’ipocrisia più nauseante che questa scena potesse partorire.

IL CANE MORTO E I MESSAGGI: “È COME SE VI AVESSI UCCISO ENTRAMBI”

Vogliamo parlare del cane? Sì, perché c’è anche questo. Faneto ha provocato un incidente in cui è morto il cane di Alessandra. Come? Guidando “sotto psicofarmaci, tutto drogato e bevuto”.

E sapete cosa le ha scritto dopo? “Questo mi pesa sulla coscienza ogni giorno, non voglio sembrare una vittima. È come se vi avessi ucciso entrambi.”

Ma poi continuava a minacciarla di morte. Continuava a scriverle “me la prenderò con i tuoi”. Continuava a terrorizzarla.

Perché vedete, questo è il punto: non si tratta di un “momento di rabbia”, di “problemi personali”, di “questioni private”. Questo è un sistema di controllo, terrore e violenza portato avanti per mesi. Con lucidità. Con metodo. Con cattiveria.

LA CULTURA TOSSICA CHE STIAMO ANCORA ALIMENTANDO

E qui dobbiamo guardare in faccia la realtà: la scena hip hop italiana ha un problema culturale enorme. Continuiamo a confondere “autenticità” con violenza. “Essere veri” con essere stronzi. “Gangster” con picchiare una ragazza di vent’anni.

Continuiamo a far passare testi misogini come “rappresentazione della realtà di strada”. Continuiamo a giustificare comportamenti tossici perché “fa parte del personaggio”. Continuiamo a separare l’arte dall’artista quando l’artista in questione è un criminale.

E sapete qual è il risultato? Che diamo visibilità, soldi, palchi e microfoni a gente come Faneto. Che facciamo credere a ragazzini di 15 anni che quello sia il modo di trattare le donne. Che normalizziamo la violenza.

Ogni stream che gli abbiamo dato, ogni like, ogni condivisione, ogni euro speso per vederlo live era un pugno in faccia ad Alessandra. E a tutte le altre che non hanno ancora avuto il coraggio di parlare.

GLI AMICI CANTANTI CHE HANNO FATTO FINTA DI NIENTE

E poi ci sono loro: gli “amici” della scena. Quelli che lo conoscevano. Quelli che probabilmente qualcosa avevano capito, visto, sentito. Quelli che magari hanno fatto featuring con lui, che lo hanno supportato sui social, che hanno fatto stories ai suoi concerti.

Dov’erano? Cosa sapevano? E soprattutto: perché nessuno ha parlato?

Perché nella scena hip hop italiana c’è questa regola non scritta: non si parla. Non si fa la spia. Non si espone un “fratello”. Anche quando quel “fratello” sta distruggendo psicologicamente e fisicamente una ragazza di vent’anni.

Questa non è solidarietà. Questa è omertà. Ed è la stessa omertà mafiosa che critichiamo nelle canzoni mentre poi la pratichiamo nella vita reale.

ALESSANDRA: L’UNICA VERA “G” DI TUTTA QUESTA STORIA

Sapete chi ha avuto davvero le palle in tutta questa vicenda? Alessandra.

Una ragazza di vent’anni che ha trovato il coraggio di denunciare. Di resistere alle minacce, anche dopo averlo lasciato. Di esporsi pubblicamente sapendo che sarebbe stata giudicata, attaccata, messa in discussione. Di dire basta quando tutti intorno a lei – TUTTI – le dicevano implicitamente di tacere.

“L’ho coperto per mesi e mesi ma dopo continue minacce, anche dopo averlo lasciato e denunciato, mi sono rotta. È il momento di far valere la mia voce come quella di tante altre donne che hanno ancora paura di ratti del genere.”

LEI è l’unica persona vera in tutta questa storia. LEI è quella che ha fatto la cosa giusta. Non la madre di Faneto. Non i manager. Non l’etichetta. Non gli amici rapper. Lei.

ACCOUNT FAKE E SCIACALLAGGIO: IL MARCIO CHE NON FINISCE MAI

E come se non bastasse, dopo che Alessandra ha parlato sono spuntati come funghi account fake che parlano male di lei e del suo cane, raccolte fondi truffa, tentativi di monetizzare la sua storia.

“Capisco che state cercando di fare hype – ha scritto – ma così ragazzi fa veramente schifo!”

Ecco, questo è il livello. Questa è la “cultura” che abbiamo creato. Dove anche una storia di violenza domestica diventa occasione per fare visualizzazioni, per guadagnare follower, per spillare soldi.

Fate schifo. Tutti quanti.

IL VERO PROBLEMA: QUESTO SUCCEDERÀ ANCORA

Volete sapere la verità? Questa storia si ripeterà. Perché non è cambiato niente.

Faneto ha chiuso i profili social? E allora? La prossima volta ci sarà un altro nome, un altro artista “emergente”, altri manager che faranno finta di non vedere, un’altra etichetta che penserà prima ai contratti che alle vittime.

Finché continueremo a ragionare solo per stream e visualizzazioni, finché la parola “responsabilità” sarà solo una cosa da mettere nei comunicati stampa DOPO gli scandali, finché l’omertà sarà più forte dell’empatia, questo continuerà ad accadere.

E la prossima Alessandra avrà ancora più paura a parlare.

IL VERDETTO

Faneto è un violento. La madre e i manager che sapevano e non hanno fatto nulla sono moralmente complici. L’etichetta che si dissocia solo dopo lo scandalo è ipocrita. Gli amici cantanti che hanno taciuto sono vigliacchi. La scena che ha permesso che tutto questo accadesse è marcia.

E noi? Noi che abbiamo dato stream, soldi e visibilità a questa cultura tossica? Anche noi abbiamo delle responsabilità.

Ma almeno ora possiamo scegliere. Possiamo smettere di supportare chi fa violenza. Possiamo pretendere che le etichette facciano il loro lavoro PRIMA che esplodano gli scandali. Possiamo smettere di confondere il machismo tossico con l’autenticità.

Possiamo, finalmente, stare dalla parte giusta.

Dalla parte di Alessandra. Dalla parte di tutte le vittime. Dalla parte di chi ha il coraggio di parlare contro un sistema che vuole farle tacere.

Zero tolerance. Zero scuse. Zero stream per i violenti.

E se questo significa far crollare qualche carriera costruita sul marcio, ben venga.

È ora di fare pulizia. Per davvero.