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Double G racconta “Testamento”: tra rinascita, identità e verità senza filtri

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Con il suo nuovo album Testamento, Double G firma un’opera intensa, personale e senza compromessi.

Un titolo forte, quasi definitivo, che segna un momento cruciale nella sua evoluzione artistica: la chiusura di un ciclo e l’inizio di una nuova fase, più cruda, più autentica.

In questa intervista, l’artista palermitano ci accompagna in un viaggio tra dolore e rinascita, tra drill e dialetto, tra fragilità e determinazione. Ogni brano è un capitolo di una storia vera, vissuta sulla pelle, e raccontata con la forza di chi ha scelto di restare fedele a sé stesso.

1. “Testamento” è un titolo importante, quasi solenne. Cosa ti ha spinto a scegliere questa parola come manifesto del disco? È più una chiusura o un nuovo inizio?

Ho scelto “Testamento” come titolo del mio album perché cercavamo qualcosa di forte, diretto, che rendesse subito chiare le mie intenzioni. È una parola importante, quasi definitiva, e proprio per questo rappresenta bene questo momento della mia carriera. “Testamento” segna un punto cruciale: è la fine di un percorso e l’inizio di una nuova visione artistica. Una visione più cruda, più intima, più libera dagli schemi. In poche parole: più mia che mai.

Il disco si apre con “Anima”, un pezzo che parla di rinascita dopo la crisi. Ti va di raccontarci meglio quel momento in cui hai toccato il fondo? E cosa ti ha riportato alla scrittura?

Ho ancora nitidi quei momenti, e in fondo non me ne sono mai del tutto staccato. Nei periodi bui, faccio forza proprio su quei dolori per ritrovare la spinta e tornare più forte. A un certo punto avevo chiuso con la musica: ero smarrito, avevo perso l’amore, le amicizie, e soprattutto me stesso.

Andando avanti, però, mi rendevo conto che per tutti ero ancora “Double G” — e a tratti quella cosa mi pesava, quasi mi infastidiva. Ma poi è successa una cosa che mi ha colpito profondamente: ero in un paesino sperduto in Sicilia, pochissimi abitanti, e uno sconosciuto si è avvicinato solo per complimentarsi con me per un singolo uscito mesi prima.

Quella scena mi ha segnato. Mi ha fatto capire che, anche quando tu pensi di esserti spento, c’è qualcosa di te che continua a vivere negli altri. E da lì ho iniziato a riscrivere. Ora ne sono certo: nessuno può davvero allontanarsi da ciò che è destinato a essere.

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 In “Testamento” usi il dialetto palermitano su una base drill: una scelta forte e identitaria. Cosa significa per te rappare nella tua lingua madre oggi, in un panorama sempre più omologato?

Non ho scelto di usare il dialetto per fare colpo o per sembrare diverso. L’ho fatto per parlare alla mia gente, in modo diretto, senza filtri. Perché credo che la lingua con cui cresciamo sia anche la voce della nostra verità.

In un panorama musicale dove spesso tutto suona uguale, rappare in palermitano su una base drill è stato il mio modo per affermare chi sono, da dove vengo, e soprattutto che non ho dimenticato le mie radici.

È anche un messaggio: voglio che chi mi ascolta capisca che può scegliere da sé il proprio futuro, indipendentemente da dove è nato o da quello che gli è stato detto. Con “Testamento” dico: sono sempre io. Tutto quello che mi gira attorno può cambiare, ma io resto fedele a me stesso.

 “Hangover” è uno dei brani più intensi del disco, una lettera cruda e sincera. Quanto è stato difficile mettersi a nudo così? E cosa speri arrivi a chi lo ascolta?

Scrivere “Hangover” è stata una sfida dura, ma anche profondamente liberatoria. È una di quelle canzoni che ancora oggi mi scuote ogni volta che la ascolto. Ma non l’ho scritta per me: l’ho scritta per Mattia, e per tutte le persone che hanno vissuto sulla propria pelle — o su quella dei propri cari — dolori simili.

Con questo brano ho voluto mettermi a nudo, senza filtri, perché sentivo il bisogno di trasformare il dolore in qualcosa che potesse servire agli altri. È una lettera, un grido, ma anche un abbraccio.

L’ho fatta per amore, per sensibilizzare, ma soprattutto per dare speranza e forza a chi si sente solo nel buio. E so che anche mio fratello Mattia avrebbe voluto che questa canzone arrivasse dritta a loro, a chi ne ha davvero bisogno.

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Dalle strade di Palermo in “Loco” alla malinconia di “Ricordati di me”: nel disco c’è una varietà di atmosfere fortissima. Quanto conta per te questa versatilità? È una scelta estetica o ti viene naturale raccontarti in modi così diversi?

La versatilità di questo disco nasce proprio dall’incontro tra due anime: Giuseppe e Double G. Sono la stessa persona, ma con personalità, visioni e colori diversi.

Giuseppe è più riflessivo, più introspettivo, è quello che sente il peso delle cose. Double G invece è istinto, strada, fuoco. E quando questi due lati si incontrano, nasce qualcosa che non può stare dentro a un solo suono o a una sola atmosfera.

Non è una scelta estetica, è qualcosa che mi viene naturale. È il mio modo di raccontarmi con sincerità, accettando tutte le sfumature che mi compongono — dalla rabbia alla malinconia, dalla durezza alla fragilità.

E proprio per far emergere questo contrasto e questa evoluzione, l’ordine della tracklist è stato pensato con attenzione. Ogni brano è al suo posto, come un capitolo di un percorso emotivo che va ascoltato dall’inizio alla fineù

In “Ski Mask” parli di identità, di maschere, e del modo in cui ci proteggiamo. Quanto spazio c’è oggi, secondo te, per la vulnerabilità nel rap italiano?

“Ski Mask” è un banger, sì, ma a mio parere è anche un pezzo che fa riflettere. Parla di identità, di come spesso indossiamo delle maschere per proteggerci, per sopravvivere, o semplicemente per non far vedere quanto siamo vulnerabili davvero.

Nel rap italiano oggi c’è poco spazio per la vulnerabilità. Si tende ancora a mostrare solo la parte forte, quella sicura, vincente. Ma io credo che raccontare le proprie fragilità sia un atto di forza, non di debolezza.

Con “Ski Mask” ho voluto dire proprio questo: dietro l’immagine, dietro la faccia dura, c’è sempre una persona con le sue paure, i suoi traumi, le sue domande. E iniziare a mostrarlo, anche solo in parte, è un passo per rendere questo genere più vero, più umano.

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Ci saranno occasioni di sentirti live nei prossimi mesi? E cosa dobbiamo aspettarci da Double G nel futuro, artisticamente parlando?

Sì, ci saranno occasioni di vedermi live molto presto. Di recente sono stato invitato a due festival musicali locali, ed è solo l’inizio. Stiamo lavorando per fissare nuove date, anche fuori dalla Sicilia, perché ho voglia di portare “Testamento” in giro e viverlo con chi lo ha ascoltato e sentito sulla pelle.

Sul futuro posso dirti che non ho intenzione di fermarmi. Artisticamente sto continuando a evolvermi, a sperimentare, a scrivere cose sempre più personali. Double G continuerà a raccontare la sua verità, senza filtri, sempre con più libertà e senza paura di cambiare pelle

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