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Male che Vada, Randy Gardner è il nuovo album. L’intervista

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Male che Vada è un duo di hip hop sperimentale nato a Londra nel 2018 e formato da Nope (1988, Roma) e Another Hysterical Guy (1993, Soave-VR).

Entrambi ingegneri del suono e sound designer, i due artisti vivono nella capitale inglese dal 2013 dove hanno frequentato il SAE institute. Il duo esordisce ufficialmente nel 2020 pubblicando l’EP “Ofelia“, 4 tracce in cui un hip hop underground, per niente allineato alle tendenze dominanti, incontra l’elettronica, in particolare quella meno da dancefloor e più basata sulla ricerca sonica e ritmica. Negli anni successivi i due iniziano a concepire i brani del loro primo album.

Randy Gardner“,il primo album dei Male che Vada, è disponibile da oggi su tuttele piattaforme digitali. Anticipato dal singolo “1 Mese e 3 giorni” e dalla title-track,il disco ècomposto da 12 tracce realizzate da due artisti italiani residenti a Londra,Nope e Another Hysterical Guy.

L’album racconta una storiadi isolamento e alienazione e il titolo fa riferimento alla vicenda reale dell’adolescente statunitense Randy Gardner che, tra la fine del1963 e l’inizio del 1964, è rimasto sveglio per 11 giorni di fila divenendo la prima persona sulla quale sono stati condotti studi scientifici riguardanti gli effetti che la deprivazione del sonno ha sulla mente umana.

Così, il disco si pone come uno studio (fittizio) sugli effetti che una deprivazione “comunicativa” con la solitudine che ne deriva possono avere sulla psiche di una persona.

Si tratta di un disco alt-rap registrato interamente dentro un appartamento(inpassato condiviso dai due artisti) per rendere il più possibile le sonorità claustrofobiche e lo-fi.

Ilconcept è incentrato, appunto su un personaggio solo, fragile ed esaurito, che si sente alienato dal mondo circostante e che, a seguito di problemi sul posto di lavoro, si isola del tutto.

I testi seguono i suoi dialoghi interiori, che iniziano come sfoghi verso un mondo da cui si sente distante, per poi spostarsi su un livello sempre più introspettivo.

Gli ci vorranno 12brani per realizzare che la distanza tra lui e il mondo che lo circonda non deriva dalle loro differenze, ma da un’incapacità totale di dialogare, generata da un clima che ha trasformato la comunicazione in un evento conflittuale e traumatico.

Randy Gardner” arriva dopo anni in cui Nope e Another Hysterical Guy hanno compiuto ricerche e sperimentazioni sonore e musicali senza preoccuparsi delle logiche del music business.

“Questo è il nostro tentativo di comunicare con l’esterno e raggiungerlo, piuttosto che tenerci forzatamente a distanza dallo stesso, in un percorso a suo modo speculare a quello del personaggio del disco”.

Ho intervistato i Male che Vada per farmi raccontare chicche e retroscena dell’album!!

Ciao Male che Vada, benvenuti e grazie! Randy Gardner è il vostro primo album ufficiale. Il titolo è ispirato alla vicenda dell’adolescente che rimase sveglio per 11 giorni di fila. Ridestarsi dall’ipnosi del cuore è il concept del disco?

Grazie a te del tempo e dello spazio che ci dedichi, ma soprattutto dell’ascolto attento che hai prestato al disco! “Randy Gardner” prova a raccontare un senso di alienazione, rabbia, stanchezza e confusione che crediamo siano piuttosto diffusi.

È la storia di una persona che si accorge che il vero dramma dietro il suo isolamento non sta nelle differenze tra lui e il mondo circostante, quanto in quella distanza incolmabile che li rende irraggiungibili nonostante occupino lo stesso spazio e lo stesso tempo.

Distanza causata e alimentata dai sistemi di comunicazione e informazione del tardo capitalismo al tempo degli smartphone. L’idea principalmente è quella di esplorare questo spazio mentale ed emotivo, ma nasconde senz’altro anche un invito a guardare oltre rabbia, disfattismo, nichilismo e partitismo.

Esiste un tentativo di trasformare il contesto in cui ci troviamo – un contesto che ci isola, spingendoci o verso uno stato di apatia e distaccamento, o di conflitto e polarizzazione costanti, troppo esausti per venirne a capo – in un nemico comune, quindi in un elemento di coesione.

 “Noi tutti etichettati come beni di consumo” e “la mia generazione ha confuso spesso l’impegno con la presenza”. Vi chiedo: lo stato di parassitismo e condizionamento sociale è più colpa del potere dominante o della massa?

La domanda è molto aperta e il tema complesso, ma crediamo che alla radice il problema sia sistemico più che personale.

Nell’album, la cultura e filosofia occidentale vengono assolutamente messi in discussione. I valori propinati sono effimeri e tendono allo smembramento dell’anima. Qual è la cura per questo virus?

Onestamente non siamo nella posizione di insegnare niente a nessuno e non crediamo che il ruolo della musica – e dell’arte in generale – sia quello.

Il disco cerca di raccontare un personaggio, una situazione e degli stati d’animo che sono senz’altro figli dei loro tempi, ma l’idea non è certo quella di proporre un manifesto, politico o morale che sia.

I testi cercano di lasciare anche un certo spazio all’ascoltatore per inserirsi ed interpretare quello che sta venendo detto e, per come la vedo io, il concept del disco ha più a che vedere con il percorso che il personaggio fa nel corso delle 12 tracce di cui è protagonista che non con quello che dice in questa o quella traccia nello specifico.

01-Male-Che-Vada-1024x679 Male che Vada, Randy Gardner è il nuovo album. L'intervista

A livello personale aggiungeremmo che non crediamo che in questo momento la società occidentale propini alcun valore specifico in maniera coerente, la vediamo più come un sistema basato sulla contrapposizione vuota e infinita tra fazioni che in realtà sono interamente co-dipendenti l’una dall’altra, che è un punto su cui il disco si sofferma abbastanza.

Vivete a Londra da tempo. Da poco è stato pubblicato il nuovo progetto di Dave, artista mainstream che tratta determinate tematiche. L’Italia quanto è lontana da quel modus operandi e perché non riesce a fare questo step decisivo che coniuga contenuto e contenitore?

In realtà non pensiamo che la qualità del rap abbia tanto a che vedere con i contenuti dei testi quanto con l’autenticità dei pezzi, e crediamo nella totale libertà artistica ed espressiva di chiunque faccia musica, qualunque cosa voglia o non voglia dire.

Crediamo però che esistano dei problemi a monte; nello specifico, nel momento in cui la musica non è più un mezzo ma uno scopo, un prodotto che va generato in tempi minimi e quantità massime, è inevitabile che a cambiare non sia solo il modo in cui la musica viene fatta, il modo in cui viene consumata, insomma il ruolo stesso della musica nella società.

Il problema è culturale, non è tanto la musica che è superficiale, ma il mondo che la circonda. Questo ovviamente non è un discorso solo italiano, ma senz’altro in UK, per una serie molto lunga di fattori – incluso un maggior livello di multiculturalismo – l’idea di mantenere scene artistiche indipendenti è ancora percepita come qualcosa che ha un valore, che va tutelata e, dove possibile, incentivata.
Magari, detta così, suona più idilliaca di com’è, ma rispetto all’Italia in effetti la differenza è infinita.

Male che Vada, in un’epoca di schiavismo mentale come questa, qual è il segreto per trovare un equilibrio interiore che ci permetta di essere nel mondo senza lasciarsi infettare da dettami esterni?

Siamo due squilibrati, quindi, è un po’ difficile risponderti… Forse il segreto non è cercare di non venire influenzati quanto ricordarsi del fatto che influenzabili lo siamo tutti… Non siamo sicuri ma suona convincente, facciamo che proviamo un attimo e ti facciamo sapere se funziona!

Domanda un po’ complottista che parte dalla frase:” solo chi muore male, finisce al telegiornale”. Credete alla teoria degli omicidi rituali creati per condizionare il pubblico?

NOPE – Premesso che “1 mese e 3 giorni” è un pezzo che io ritengo abbastanza interpretabile e che cerca di rappresentare un conflitto – che potrebbe stare svolgendosi all’interno di una sola persona – interpretato da due voci entrambe a loro modo estreme; la frase per me era più mirata a caratterizzare la voce che la pronuncia e la mentalità che rappresenta che non ad alludere a casi specifici.

L’idea è un po’ quella di un mondo in cui sei solo un numero e l’unica forma di riconoscimento immaginabile è all’interno di un contesto che serve solo ad alimentare paure e a spingerti a rimanere chiuso nel tuo mondo e nella tua situazione, frustrato e impotente.

Quindi l’idea del condizionamento in generale ci sta; per quanto riguarda gli omicidi rituali, non ci avevo pensato e non sono sicuro di che rituale si tratti, ma non mi sento di escludere nulla!

 Nelle vostre creazioni noto alcune reference che accosto al primo Dargen D’Amico. È una suggestione errata o esiste qualche punto di contatto?

NOPE – Sì, nel pezzo introduttivo ho anche preso in prestito una sua frase (“Ho i medicinali per sconfiggere i medicinali”). Credo che “Musica senza musicisti” (anche se non è da lì che la frase è tratta) sia l’unico disco hip hop italiano ad aver avuto lo stesso tipo di impatto su di me di certi dischi americani.

All’epoca stravolse un po’ la mia percezione di quello che era possibile fare con la lingua italiana nel rap.  È un album che aveva molte idee da proporre, un’identità forte che prescindeva dall’idea di ‘hip hop’ in quanto tale, e un approccio all’uso della lingua e alla relazione tra rap e beat che per me rimane unico. 

Da li in poi ho sempre seguito il percorso di Dargen e credo che, quando si parla di hip hop alternativo – o astratto, o comunque lo si voglia chiamare – in Italia, sia una figura fondamentale.

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Il motto di Bartleby era pura negazione, ma quel rifiuto radicale lo portò ad autodistruggersi. Come trasformare il rigetto in qualcosa che trasforma e non ci lascia appassire?

Noi lo abbiamo messo in un disco, ma non siamo ancora sicuri che sia un metodo raccomandabile!

 Il conformismo musicale si basa sulla dittatura del numero e delle classifiche. Come valutate il fatto che oggi il rap sia trattato alla stregua del mero intrattenimento?

NOPE – Penso che anche questo discorso abbia più a che vedere con problematiche italiane che altro. Se guardi alla scena americana, per quanto mi riguarda, il 2025 è stato uno degli anni più impressionanti di sempre; a livello di varietà, qualità e quantità delle uscite.

L’hip hop mainstream è ormai riuscito a vendersi al grande pubblico come qualcosa che può essere di spessore; si è finalmente liberato dell’etichetta che continuava a relegarlo a qualcosa ‘per ragazzi’ e credo che anche la scena indipendente non sia mai stata più in forma e in grado di auto-mantenersi di com’è adesso.

Il vero problema per me è che l’Italia fa fatica a prendere sul serio l’hip hop; un po’ perché l’Italia fa fatica a prendere sul serio qualsiasi cosa, un po’ perché la storia dell’hip hop in Italia forse è caratterizzata da troppe fratture, troppo nette.

Mi farebbe semplicemente piacere vedere questa cosa essere assorbita un po’ da tutti per quello che penso dovrebbe essere: il tentativo di inventarsi uno stile e proporre un suono che rappresenti un’identità in maniera unica e vera.