Alla fine, tutti finiamo per diventare il riflesso dei nostri genitori. È un cliché, certo, ma anche la scintilla che accende il quarto album in studio di Daniel Caesar, Son Of Spergy.
Dietro questo titolo enigmatico si nasconde un progetto intimo e ambizioso: un confronto diretto, quasi spirituale, tra il cantante canadese (nato Ashton Simmonds) e la figura del padre, Norwill. È un racconto di crescita, di perdono e di ricerca di sé, affrontato con una sincerità disarmante.
Daniel Caesar riscrive le proprie radici
L’album nasce dopo una fase di introspezione che ha seguito il trentesimo compleanno di Daniel Caesar — un punto di svolta che lo ha spinto a chiedersi chi volesse davvero diventare.
Da queste domande prende forma Son Of Spergy, un viaggio ampio e contemplativo, sospeso tra soul moderno, venature gospel e momenti di pura riflessione. In Moon, brano che evoca la sensazione di un lungo viaggio verso l’ignoto con tamburelli soffici e chitarre acustiche leggere, Daniel Caesar sussurra:
“Is this what you call love? / Someday I will leave your home / I’ll be a man, I’ll make my own.”
Un inno alla libertà, ma anche al distacco necessario per crescere.
Questa ricerca interiore è alimentata da un forte senso di responsabilità personale.
Caesar non ha paura di guardarsi allo specchio. In Who Knows ammette:
“Lately I’ve been thinking that perhaps I am a coward / Hiding in a disguise of an ever-giving flower,”
mentre nel singolo Root Of All Evil si flagella con versi come:
“Am I a man or a beast? / Somebody please discipline me / For I’m a sinner.”

C’è del masochismo in queste confessioni, un’autocritica feroce che a tratti sfiora l’eccesso, ma che rende il racconto umano, fragile, vivo.
Sul piano musicale, Caesar si muove con una grazia impeccabile. Gli arrangiamenti sono ricchi, costruiti con intelligenza e grande attenzione al dettaglio.
Have A Baby è una lenta combustione: un piano costante e lineare, batteria minimale e una tensione che cresce fino a un finale ampio e liberatorio. L’apertura con Rain Down invece è più astratta, quasi priva di beat, con un pianoforte caldo che sorregge cori fluttuanti e una splendida partecipazione di Sampha, che illumina il brano con la sua voce eterea.
Le influenze gospel attraversano l’intero disco, fungendo da ponte tra il divino e il terreno, tra padre e figlio. Campionamenti e registrazioni di voci ovattate aggiungono un senso di intimità domestica, come se Caesar stesse letteralmente aprendo la porta di casa per farci entrare nei suoi ricordi.
A volte l’introspezione rischia di essere un po’ troppo insistita, e qualche lirica si avvicina alla retorica. Ma l’onestà e il coraggio di mettersi a nudo meritano applausi.
Con Son Of Spergy, Daniel Caesar firma uno dei progetti più maturi e vulnerabili della sua carriera. È un album che non cerca di compiacere, ma di capire; che non teme la fragilità, anzi la celebra.
Ed è proprio in questa tensione tra redenzione e consapevolezza che Caesar conferma il suo posto tra le voci più importanti dell’R&B e del soul contemporaneo — un artista che sa trasformare il dolore in armonia e la confessione in arte.







