Quattro anni fa, con l’album Skin, Joy Crookes cantante del sud di Londra aveva fatto irruzione sulla scena come una delle voci più interessanti della nuova generazione.
Dopo una pausa prolungata, Joy Crookes torna con Juniper: un lavoro giocoso, esplorativo e sorprendentemente lucido, che affronta temi che spaziano dall’innamoramento alla salute mentale, dalla critica all’industria musicale fino alla politica e all’amor proprio. Il disco attraversa questi territori con continuità e coesione, avvolgendoli in un elegante filo conduttore che definisce l’universo dinamico di Juniper.
Il precedente album, Skin (2021), candidato sia al Mercury Prize che ai BRIT Awards, aveva già consolidato il suo status di cantautrice di rilievo. Juniper la consacra definitivamente, rivelandola non solo come narratrice, ma come autentica poetessa.
Joy Crookes poetessa del suo mondo
La sua scrittura, al tempo stesso brillante e provocatoria, trova spazio in brani come Carmen e Perfect Crime: il primo un esempio di sarcasmo che arriva leggero e immediato, senza perdere incisività.
L’apertura con Brave mette subito in evidenza una voce riconoscibile ovunque, mentre Crookes canta:
“Love is trying to be my friend / what you gonna do when I hand you my heart”.
È un’introduzione che delinea i temi dell’album con toni di meraviglia e riflessione, per poi evolversi in una progressione di assertività e onestà. Juniper, in definitiva, è questo: dinamico, diretto e senza compromessi.
Con collaborazioni che spaziano da Kano e Vince Staples alle produzioni di Blue May, Tev’n e Chrome Sparks, Crookes riconosce ai suoi storici compagni di viaggio il merito di averle costruito attorno uno spazio sicuro, dove potersi affidare al processo creativo.
Recuperare l’essenza stessa del “fare musica” è stato per lei fondamentale, e Juniper ne è il risultato: un album che riflette al tempo stesso lo stato del mondo e l’universo personale di Joy Crookes.
In un panorama musicale in cui spesso l’industria preferisce discutere di maestria artistica, Joy Crookes richiama l’attenzione sull’essenza stessa della musica, e il risultato è magnetico.

In First Last Dance riecheggia il classico di Kylie Minogue Can’t Get You Out of My Head, spingendo l’ascoltatore a guardare oltre la superficie: ritmi luminosi si intrecciano con testi che esplorano la salute mentale e l’ansia. In I Know You’d Kill, invece, l’artista affronta la strumentalizzazione dell’identità in nome di una presunta inclusività, un commento pungente sull’attualità politica.
Il disco si chiude con Paris, una ballata agrodolce dedicata a chi l’ha aiutata a ritrovare un senso di pace.
Perdere qualcuno, suggerisce Joy Crookes, può significare riscoprire una parte di sé. È un congedo intimo e potente: l’artista riversa paure e insicurezze senza filtri, abbracciando la propria umanità e invitandoci, ancora una volta, a danzare insieme a lei.
In definitiva, Juniper conferma Joy Crookes come una delle voci più originali e intelligenti della scena musicale contemporanea. L’album mescola con naturalezza introspezione e leggerezza, ironia e profondità, costruendo un percorso sonoro che riflette tanto il mondo che la circonda quanto il suo universo personale.
Joy Crookes dimostra ancora una volta di saper scrivere canzoni che non solo si ascoltano, ma si sentono, invitando l’ascoltatore a immergersi completamente nella sua musica e nella sua umanità.