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Acqua con “48”: quando il rap diventa dialogo con la propria morte

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Non sempre l’hip hop parla solo di rivalsa, strada e ostentazione. A volte il rap diventa specchio, riflessione, perfino un confronto con la parte più fragile di sé. È il caso di “48”, il nuovo singolo di Acqua, prodotto da Yazee, che affonda le radici in un vissuto doloroso e lo trasforma in musica.

Il titolo non è casuale: 48 nella smorfia napoletana significa “il morto che parla”, ma per Acqua è anche l’anno di nascita della madre, la cui perdita ha segnato un punto di rottura e di rinascita. In questo pezzo l’artista immagina la propria morte, osservando la vita da fuori, chiedendosi come reagirebbero amici, familiari e conoscenti. Un tema scomodo, ma universale, che mette al centro la consapevolezza del tempo, il valore degli affetti e la necessità di guardare dentro sé stessi.

Tra atmosfere sospese, sonorità black soul e barre introspettive, Acqua costruisce un racconto che rompe gli schemi classici del rap, senza però abbandonarne le radici: la verità, il vissuto, il bisogno di lasciare un segno. Con Yazee al fianco, capace di trasformare emozioni in sound, “48” diventa non solo un brano, ma un atto di coraggio artistico.

In questa intervista per Club Hiphop, Acqua ci porta dentro la genesi del pezzo, il valore simbolico del numero 48 e il ruolo della fragilità in un genere che, troppo spesso, preferisce mostrarsi invincibile.

Il 48 nella smorfia napoletana è “il morto che parla”. Come hai deciso di trasformare questa immagine in un brano rap? Quali sono gli altri significati del numero 48?

Ho immaginato svariate volte di morire e di abbandonarmi al destino (e credo che ognuno di noi ci abbia pensato almeno una volta nella vita), sono ipocondriaco e l’idea di poter morire mi ha spinto ad immaginare come sarebbe la vita senza di me. Il 1848 o ’48 è un anno di rivoluzione totale, di cambiamento di caos. Il ’48 ma del 1900 è l’anno di nascita di mia madre e dopo la sua scomparsa ho subito un cambiamento interno, mi ha scosso e mosso cose nella testa ed ho ritenuto giusto iniziare un percorso di terapia, utile a trovare nuovamente il mio equilibrio.

Scrivere dal punto di vista di una “morte immaginata” è un’idea potente. Da dove nasce e quanto è stato difficile svilupparla?

Mi sono sempre chiesto: “chissà cosa direbbero e\o farebbero i miei amici, i miei parenti e i conoscenti se io morissi?! Chissà come sarebbe la vita degli altri senza di me, se piangerebbero ricordandomi o se sorriderebbero rievocando le mie battute o i miei modi di fare?!”. Non è stato affatto semplice sviluppare il testo finale ma l’idea mi è uscita fuori di getto, ho immaginato i dettagli, gli scenari, gli avvenimenti distinti nitidi quasi come se li avessi già vissuti, in qualche modo.

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Nel rap italiano raramente si affrontano temi come il lutto in maniera così diretta. Come pensi reagirà il pubblico hip hop?

È vero, molto probabilmente il pubblico hip-hop è abituato a sentir parlare di morte ma solo se si parla di persone care, amici o parenti ed artisti deceduti, si è abituati ad ascoltare tributi a qualcuno scomparso. Io, invece, ho voluto concentrare l’attenzione proprio sull’ ipotetica morte di ognuno di noi, che alla fin fine ci riguarda in prima persona.

È scomodo parlare della morte di sé stessi ma forse la mia vita mi ha insegnato fin da subito a conviverci, ad affrontarla in qualche modo anche se poi non si arriva mai abbastanza preparati quando accade il peggio. Non so come potrà reagire il pubblico, spero però che 48 possa emozionare, possa essere un esempio di analisi, di consapevolezza interiore per capire quanto vale la vita e quanto, a volte sfortunatamente, duri poco.

Nel testo c’è un continuo gioco tra ciò che si perde e ciò che si scopre. Era il tuo intento fin dall’inizio o è emerso scrivendo?

È uscito tutto fuori piano piano, mentre scrivevo, mentre immaginavo e credo possa essere un modo per capire quanto vale ognuno di noi, quanto è importante ciò che si ha ed ovviamente non parlo di cose materiali. Quindi è anche un invito implicito a soffermarsi ed analizzare chi siamo e soprattutto badare a ciò che ci fa stare bene, meglio. Prendendo il positivo anche dal negativo.

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Yazee è un producer che lavora molto sulle atmosfere. Come vi siete confrontati per creare questa vibe malinconica ma intensa?

Yazee è molto paziente, è un artista, è uno che vive di musica, che ha la musica dentro, che ragiona e si esprime e a volte lo fa con le note, percorrendo scale maggiori e minori. Ascolta e legge tutti i miei testi quindi i miei pensieri, i drammi, i traumi ed analizza le rime. Mi segue e mi ascolta, parliamo e ci confrontiamo ed è molto piacevole sorridere anche parlando di malinconia o stati d’animo negativi. Il confronto è sempre un passo verso la crescita, per imparare e conoscere, per capire e cercare di migliorarsi.

48-cover_2-1024x1024 Acqua con “48”: quando il rap diventa dialogo con la propria morte

Quanto conta per te che chi ascolta “48” colga anche i riferimenti culturali (smorfia, simbolismo del numero, ecc.) oltre al lato emotivo?

Il titolo “48” è strettamente correlato al concept del brano quindi credo e spero che tutti riescano a cogliere il simbolismo e l’importanza di questo che non è solo un numero. È un concetto, è un modo di vedere ed affrontare la vita, il titolo è pieno di significato per me ma, sono pronto a scommettere, che lo è anche per molti dei miei ascoltatori.

Nel rap di oggi c’è ancora spazio per brani così personali, lontani dalle logiche commerciali?

Ottima domanda. Credo di si, credo che ancora possa esserci spazio per le emozioni vere, per i punti in comune e per la condivisione di valori importanti. Per ballare e divertirsi, come per far riflettere, nella musica c’è sempre spazio e tempo, bisogna semplicemente trovare ed usare il modo che riteniamo migliore per farlo.